.. che noi non ne abbiamo voglia.
Avete presente il delirio di ogni fine settimana calcistico? No, non vi parlerò di calcio. Ma di VAR. E non è la stessa cosa. Quello che leggerete funziona uguale nel mondo IT, e penso ovunque. Tornando alla VAR, il mio buon amico Savino Carlone ha espresso da subito la sua contrarietà da purista del calcio. Io sono stato ottimista, per almeno due giornate.
La VAR, la mitologica moviola in campo, che avrebbe risolto tutti i problemi del calcio è stata osannata come il miracolo tecnologico definitivo dell’Italia pallonara. L’esperienza e i capelli persi nel mondo della tecnologia mi hanno fatto suonare più di qualche campanello di allarme.
Tecnologia
Se avete il piacere di conoscere Adriano Bacconi, saprete che l’analisi di una partita di calcio, con il supporto della tecnologia, non è roba nuova. Ho avuto il piacere di lavorare con le persone che quei programmi li hanno scritto e con chi li utilizza. Sapete la verità? Sono software scritti benissimo e che fanno un gran bel lavoro. E sapete il perché? Perché hanno un obiettivo chiaro. Un processo preciso. E delle KPI (ovvero delle metriche) che certificano se il loro utilizzo migliora il lavoro che si faceva prima.
Osannare e poi ripudiare la VAR, fa solo parte del normale svolgimento dell’adozione di una tecnologia che non si è compresa. Perché semplicemente gli si è chiesto l’impossibile. Si è partiti dal presupposto che una tecnologia ci salvasse. Così, senza fare nulla. Senza cambiare noi. Senza cambiare processi, decisioni, valutazioni e valutatori. La VAR è neutra, è una tecnologia. Non può salvare nessuno che non voglia essere salvato.
Una battaglia che Dino Esposito porta avanti da sempre, con il suo modo ironico e pungente. Parlare di adozione, parlare di visione, fare le tavole rotonde e quadrate va bene fino ad un certo punto. Dobbiamo parlare di processi e di messa a terra.
La perfezione è un’illusione
La VAR deve “aiutare la terna arbitrale che sbaglia”. Come spot pubblicitario non è il massimo, ma noi tifosi abbiamo visto di peggio (come una locandina di Serie A con 19 squadre, mancava la Lazio, così per dirne una).
Qui, da perfetta marchetta nascono le aspettative più assurde. Da domenica, ho un’età [sic]. Dalla prossima partita, in qualunque giorno e orario sia, gli arbitri non sbaglieranno mai più!
Ora, da appassionato di videogiochi sul calcio dai tempi di International Soccer su C64, qualche domanda me l’ero posta. Se mando, a quarant’anni suonati, imprecazioni babilonesi al programmatore canadese che ha scritta la AI di FIFA per un mezzo fallo su XBOX su una partita amichevole online (che poi la parola amichevole online è un ossimoro), potevo mai realmente pensare che la VAR avrebbe risolto tutti i problemi del mondo calcistico?
La macchina ci sostituirà?
La realtà è che per molti di noi l’avanzamento tecnologico è visto come la sostituzione di una macchina industriale. Se ieri facevo 100 tondini d’acciaio al minuto, con la nuova macchina ne farà 100 al secondo. Finito. La visione è ridotta al numero di tondini. Poco importa se questo comporterà per l’azienda decine di altre cose di cui occuparsi, come l’approvvigionamento delle risorse, la logistica, lo stoccaggio, la formazione del personale, etc. noi siamo contenti che la macchina ci ha reso “migliori” (senza aver fatto nulla). Applicare questo ragionamento alla VAR, all’intelligenza artificiale, alla blockchain, al FAX [sic] è uguale. Qualunque cambiamento porta delle modifiche, e non è mai unilaterale. Se acquisto una macchina che consuma la metà, sarò contento io ma non il mio benzinaio.
La seconda idea sbagliata sulla VAR è che possa fare contenti tutti. Qui entriamo nel filosofico. Cosa vuole dire contenti? In un mondo ideale vuol dire che se annullano 3 gol alla mia squadra per un fuorigioco di 1 micron, devo essere contento. Che se l’arbitro viene corretto e mi assegna un rigore contro al 97° minuto, devo essere contento. Giustizia è fatta. Giusto?
VAR come panacea dei popoli
La verità è che la VAR la vorremmo in modalità sceriffo, o ancora meglio MAMMA VAR. Che faccia passare le “nostre” scorrettezze, ma che sia inflessibile, con lo zoccolo telecomandato, con il bullo che ha osato farci gol.
La terza idea errata sulla VAR, è che renderà gli arbitri NON migliori MA tutti uguali. Torniamo ai nostri tondini. L’idea della catena di montaggio. Prendiamo tutti gli arbitri e li inchiodiamo davanti ad una telecamera. Li costringiamo a leggere il regolamento ogni sera ed applicarlo alla mattina, allo stesso modo. Tutti uguali. Il super-arbitro. Un’idea degna di una dittatura nazi-comunista.
Nessuno è uguale ad un altro. Non può essere una moviola, a fare arbitrare un arbitro fiscale allo stesso modo di un arbitro “all’inglese”. Non sarà una telecamera a fare in modo che la peggiore giornata di un uomo, corrisponda alla sua migliore giornata.
Questo comporta che ovviamente anche con il supporto VAR ci saranno falli ravvisati e falli non segnalati. E questo comporta malumori e mugugni. Vedere lo stesso episodio punito a noi e non a loro, fa pensare male. Ricordate, noi vogliamo l’automa di FIFA, ma solo se vinciamo noi. Invece ci tocca assistere, all’interno dell’area, dal placcaggio rugbistico “regolare” al rigore per fallo di capezzolo.
Bias e VAR
La VAR da sola, non può cambiarci. Se poi non adattiamo i processi alla tecnologia è notte fonda. La VAR può richiamare l’arbitro per una trattenuta di 1 nanosecondo su una azione di mischia in area, ma non può intervenire se l’arbitro ammonisce ed espelle un giocatore per un fallo che non ha commesso. La VAR non può richiamare l’arbitro su un rigore “moooolto” generoso, se non è un errore grave. COSA accidenti è un errore grave? Chi lo decide? Come? E siamo punto e a capo.
Pensate se applicassimo la stessa logica al mondo del lavoro. Un tuo collega fa un errore, tu lo noti. L’errore sarebbe un guaio per l’azienda, per te e per il tuo collega. Il tuo compito è aiutare il collega e quindi l’azienda. Ma non puoi aiutarlo perché il tuo responsabile ti ha detto di non farlo, se non in poche occasioni. Quindi il tuo collega verrà sanzionato dal responsabile, e l’azienda perderà credibilità. Follia.
Poi arriviamo alla beffa. Se l’arbitro viene richiamato dal VAR sono cavoli suoi. Si entra in una sorta di dilemma del prigioniero. Pensate per un attimo di essere l’arbitro. Avete 4 scelte, e sapete per esperienza cosa accade:
A – rivedete l’azione e scegliete di rimanere della vostra idea. E sbagliate.
B – rivedete l’azione e scegliete di rimanere della vostra idea. E avete ragione.
C – rivedete l’azione e scegliete di cambiare idea. E sbagliate.
D – rivedete l’azione e scegliete di cambiare idea. E avete ragione.
L’opzione A può costarvi una sospensione. La B è ininfluente, è scontato che dobbiate prendere la decisione giusta perché siete un super-arbitro. L’opzione C, sono cavoli del collega. L’opzione D, vi costerà al massimo mezzo punto in pagella. Cosa scegliete? Io sono per C o D, cambio idea e amen. Non ci andrei nemmeno al monitor.
A questo punto, facciamo arbitrare chi è dietro il monitor, e stop. Peccato che non possa parlare con i giocatori o vedere la dinamica delle azioni, la velocità, gli impatti, etc. Allora mettiamo sensori ovunque, dalla palla, alle magliette, ai ciuffi d’erba. Allora giochiamo a FIFA e buonanotte.
Arbitro AI
Spingiamoci oltre, facciamo arbitrare una Intelligenza Artificiale (AI). Chi dovrà farla? Chi dovrà testarla? Ogni quanto e come verrà aggiornata? Immaginate se un calciatore cadesse in area in un modo innaturale lontano due metri da chiunque altro e per l’AI fosse rigore netto. Vedete la reazione di noi tifosi? Immaginate i tentativi di emulare la cosa la partita dopo. Cosa succederebbe se il bug funzionasse solo con determinati colori della maglia?
Chiarire le regole del gioco
L’unica tecnologia che sembra funzionare è la goal line. La telecamera che controlla se il pallone ha interamente varcato la linea di porta. Perché fa una cosa sola. È specializzata in un solo processo. Il processo è semplice e automatizzabile, e risulta preciso e misurabile.
Adesso parliamo di fuorigioco automatico. Sinceramente, è un grosso rischio. Lasciare ad una macchina la decisione se fermare il gioco perché un giocatore è in fuorigioco attivo o passivo, è difficile. Bisognerebbe cambiare la regola. Adattarsi quindi. Modificare un processo per adottare una tecnologia. Probabilmente sarebbe più semplice lasciare calcolare ad una macchina i minuti di recupero. Quanto tempo si è perso e perché è quantificabile. Basta applicare una semplice formula.
Se torniamo alle nostre KPI, vedremo che la VAR è, nonostante gli intoppi di gioventù, un successo. Il numero di errori è sceso. Esultare, o smettere di farlo, dopo minuti di attesa è però molto lontano dall’idea di calcio che ho vissuto.
Psicologia sociale
Facciamo un salto nella psicologia sociale. Sapete che un torto arbitrale è percepito come un rischio reale? Il rischio di “perdere” un incontro, un combattimento, uno scontro armato. È un comportamento normale del nostro cervello, un processo che ci è stato utile per la nostra sopravvivenza come esseri umani. È il motivo per cui dimentichiamo molte situazioni critiche che si sono risolte a nostro favore, ma ricordiamo perfettamente quelle che ci sono andate male. Quello che ci porta a ricordare un rigore contro, subito nel 1989 alla scuola media Antonio Ugo (te possino, Graziano mio!), e non un mega rigore regalo di due giornate fa.
La prima reazione, è il cercare supporto da chi può capirci. Questo stadio, chiamato di “coinvolgimento sociale” (insieme alla coesione sociale) è una delle ragioni per cui nascono le comunità, le tifoserie, le fazioni. Per intenderci, il secondo stadio è “fuga o attacco”, ma mi fermo che è meglio.
Quindi, se accettiamo tutto quello che ci suggerisce la parte istintiva del nostro cervello, ci sentiremo sempre traditi, sempre boicottati e saremo sempre alla ricerca di un colpevole e di un complotto. E arriveremo alla situazione di noi contro loro, sempre e comunque. Chi perde di più, lo sarà di più. Chi perde meno, lo sarà con maggiore violenza quando toccherà a lui. Che siano serate in albergo, mercoledì sul divano, o bidoni della spazzatura al posto del cuore. Ci troviamo così a condividere mezze verità, dichiarazione montate per alimentare polemiche, singoli fotogrammi estratti ad-hoc per avvalorare la nostra tesi.
Non è colpa della VAR
È la natura umana. Siamo noi ad essere fatti così. La VAR ci potrà aiutare se cambiamo i processi, sicuramente, ma soprattutto se avremo voglia di cambiare e salvarci, almeno una gastrite, da soli.
Oppure, è sempre più facile fare finta di nulla. Mandare a quel paese il pirla che ha scritto queste idiozie, tanto tiferà [squadra che odiate]. E continuare a dire “Salvaci o VAR, che noi non ne abbiamo voglia”. Nel calcio, sul lavoro, nella vita.